La Corte Nobile

L’Ippocastano

L'ippocastano, o castagno d’India, è un albero deciduo che sviluppa una folta e larga chioma.

Il suo luogo di origine è la catena montuosa del Pindo, tra la Macedonia, l’Albania e la Grecia. In italiano, il termine castagno dIndia deriva dall’abitudine degli antichi di qualificare come "indiano" tutto ciò che proveniva dall’Oriente o dalle regioni al di là del mare.

In autunno l'ippocastano lascia cadere i frutti cresciuti nella stagione estiva: sono capsule tonde ricoperte di aculei che, toccando terra, liberano il seme, la cosiddetta "castagna matta" che non è commestibile. Tonino Guerra, nel suo Dizionario fantastico, racconta così questo momento dell'anno: "…dei mille anni e più del mio paese (…) mi restava soltanto un ricordo sonoro. Erano i tonfi sonanti che facevano le castagne selvatiche degli ippocastani in novembre lungo il viale della stazione".

In passato, le "castagne matte" venivano utilizzate per creare rimedi medici naturali; una "castagna matta" in tasca durante l'inverno teneva lontano il raffreddore; il nome stesso della pianta deriva dalla credenza che curasse la tosse dei muli, degli asini o dei cavalli.

Secondo il botanico Carolus Clusius questo albero è stato portato a Praga, per la prima volta, nel 1561, passando attraverso la città di Costantinopoli, giungendo poi a Vienna nel 1576. In questa città è stato impiegato come pianta ornamentale e per le alberature lungo i viali principali.

Questa presenza nelle città ancora oggi, tra le violenze della modernità fatte di tram che calpestano le radici, di polvere, di veleni e metano dal sottosuolo, ci viene raccontata da Primo Levi nella poesia Cuore di legno, scritta nel 1980 e dedicata agli alberi che ombreggiavano la sua casa di Torino: "Il mio vicino di casa è robusto. È un ippocastano di Corso Re Umberto; ha la mia età ma non la dimostra. (…) Eppure, nel suo tardo cuore di legno, sente e gode il tornare delle stagioni…".

L’ippocastano, o castagno d’India, è un albero deciduo che sviluppa una folta e larga chioma.

Il suo luogo di origine è la catena montuosa del Pindo, tra la Macedonia, l’Albania e la Grecia. In italiano, il termine castagno dIndia deriva dall’abitudine degli antichi di qualificare come “indiano” tutto ciò che proveniva dall’Oriente o dalle regioni al di là del mare.

In autunno l’ippocastano lascia cadere i frutti cresciuti nella stagione estiva: sono capsule tonde ricoperte di aculei che, toccando terra, liberano il seme, la cosiddetta “castagna matta” che non è commestibile. Tonino Guerra, nel suo Dizionario fantastico, racconta così questo momento dell’anno: “…dei mille anni e più del mio paese (…) mi restava soltanto un ricordo sonoro. Erano i tonfi sonanti che facevano le castagne selvatiche degli ippocastani in novembre lungo il viale della stazione”.

In passato, le “castagne matte” venivano utilizzate per creare rimedi medici naturali; una “castagna matta” in tasca durante l’inverno teneva lontano il raffreddore; il nome stesso della pianta deriva dalla credenza che curasse la tosse dei muli, degli asini o dei cavalli.

Secondo il botanico Carolus Clusius questo albero è stato portato a Praga, per la prima volta, nel 1561, passando attraverso la città di Costantinopoli, giungendo poi a Vienna nel 1576. In questa città è stato impiegato come pianta ornamentale e per le alberature lungo i viali principali.

Questa presenza nelle città ancora oggi, tra le violenze della modernità fatte di tram che calpestano le radici, di polvere, di veleni e metano dal sottosuolo, ci viene raccontata da Primo Levi nella poesia Cuore di legno, scritta nel 1980 e dedicata agli alberi che ombreggiavano la sua casa di Torino: “Il mio vicino di casa è robusto. È un ippocastano di Corso Re Umberto; ha la mia età ma non la dimostra. (…) Eppure, nel suo tardo cuore di legno, sente e gode il tornare delle stagioni…”.





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