7. L’ippocastano

In questa stagione il maestoso Ippocastano, o castagno d’India, prende parte anch’esso alla sinfonia dei colori. Le foglie si tingono lentamente, partendo dalle estremità: per primo arriva il giallo, poi subentra l’arancio e infine la foglia diventa interamente color ruggine, e cade.

Dal mese di settembre, anche i frutti della pianta cresciuti nella stagione estiva abbandonano i rami: sono le tonde capsule ricoperte di aculei, che toccando terra liberano il seme, la cosiddetta “castagna matta”, non commestibile.

Spesso in passato il frutto dell’ippocastano veniva utilizzato per creare rimedi medici naturali; il nome stesso della pianta derivava dalla credenza che curasse i mali del cavallo, e in particolare la tosse.

Le “castagne matte” venivano impiegate anche in campo tessile, come detergente per il lino: schiacciate producevano una sostanza simile al sapone che veniva mescolato con l’acqua per lavare il tessuto.

In italiano, il termine castagno d’India deriva dall’abitudine degli antichi di qualificare come “indiano” tutto ciò che proveniva dall’Oriente.

 

L’ippocastano è un albero deciduo che può superare i 30 m d’altezza, sviluppando una folta e larga chioma. È una pianta anche molto longeva, che può arrivare a diverse centinaia di anni.

La sua area d’origine si colloca sui monti Pindo, tra la Macedonia, l’Albania e la Grecia, un’area remota d’Europa in cui ancora oggi sopravvive allo stato selvatico.

Fu il botanico francese Carolus Clusius a promuoverne la coltivazione a scopo ornamentale: alla bellezza dei suoi fiori e alla particolarità dei suoi frutti si aggiungeva una chioma capace di creare zone d’ombra ampie e fitte. Egli racconta che un esemplare di questo albero fu portato per la prima volta a Praga nel 1561, passando attraverso la città di Costantinopoli; solo diversi anni dopo, a Vienna, venne però coltivato con successo come pianta ornamentale e fu utilizzato per creare alberature lungo i viali principali della città.