13. L’abete rosso

nche l’inverno regala nel Parco spettacoli meravigliosi: la natura si esprime con forza e bellezza in ciascuna delle quattro stagioni. Quando scende la neve la magia si completa: tutto intorno è silenzio e quiete; il tempo pare fermarsi e una soffice coperta candida cala sui prati, sui rami, sui bassi arbusti.

Con l’arrivo del freddo la maggior parte degli alberi ha perso le foglie, altri sono rimasti apparentemente immutati. Questi ultimi, i sempreverdi, durante l’anno abbandonano anch’essi foglie e aghi la cui caduta non è però soggetta alle variazioni del clima e non è simultanea. La foglia di un sempreverde può vivere attaccata alla pianta anche diversi anni grazie ad alcuni accorgimenti che la natura ha messo in atto dotandola, per esempio, di una superficie cerosa o pelosa che riduce l’evaporazione e migliora la resistenza al gelo. In autunno la foglia entra in un riposo vegetativo solo parziale, al contrario di ciò che avviene per le specie caducifoglie, mantenendo in atto il processo di fotosintesi che si riattiva nelle giornate soleggiate.

Il colore verde scuro della chioma e la sagoma appuntita, slanciata, aiutano a riconoscere l’abete rosso. Originario della Scandinavia, dove può raggiungere i 60 m di altezza, ha un tronco molto dritto e corteccia arancione- bruna che diviene rossiccia negli esemplari meno giovani in cui tende a sfaldarsi in strisce sottili. Le foglie sono aghiformi e le pigne, che produce in abbodanza durante l’autunno, sono allungate e rimangono appese ai rami per diverso tempo, anche dopo aver perso i semi.

Per resistere alle temperature invernali l’abete rosso deposita negli aghi e nella corteccia olii essenziali che proteggono dal gelo. Per difendersi dalla neve, poi, sviluppa una strategia davvero curiosa; i rami sporgono in posizione orizzontale dal tronco perfettamente dritto ma in caso di nevicate abbondanti si abbassano lentamente e si appoggiano gli uni agli altri con due effetti positivi: la neve accumulatasi sulla pianta tende a cadere a terra e i rami riescono a sorreggersi vicendevolmente.

Per tradizione in Europa l’abete rosso è l’albero di Natale; già nell’antichità si riconosceva a questa specie una certa aura di sacralità. La mole imponente e la forma slanciata verso il cielo erano motivo per i popoli celti dell’Europa precristiana di associarvi un collegamento tra mondo umano e mondo divino; simboleggiava la rinascita e l’immortalità. Presso i popoli germanici e scandinavi, l’abete rosso compariva invece nei festeggiamenti del giorno del solstizio d’inverno. In questa occasione era usanza recarsi nel bosco a tagliare un peccio e addobbarlo e la tradizione cristiana ha ripreso quest’usanza.

L’abete rosso è la specie più diffusa sulle nostre Alpi e nelle grandi foreste dell’Europa del Nord e caratterizza in generale il bosco delle regioni fredde. È curioso come abbia sviluppato strategie di sopravvivenza non dannose per gli alberi concorrenti: ad esempio, ha radici superficiali, al contrario dell’abete bianco, del pino silvestre e del larice; la sua chioma non si allarga molto, lasciando luce e calore anche ai vicini. Alla competizione preferisce la cooperazione.

Altra forma di collaborazione è quella che si instaura tra il picchio e l’abete rosso: se una di queste piante è infestata dai bostrici, piccoli coleotteri che si riproducono molto velocemente cibandosi della parte del fusto che cresce immediatamente sotto la corteccia, il picchio interviene in suo soccorso mangiando le larve e ispezionando il tronco da cima a fondo. Non sempre questo intervento garantisce all’albero la sopravvivenza ma contiene la diffusione dell’insetto e preserva almeno gli altri esemplari.

Spostandovi dal viale verso il grande prato centrale, in corrispondenza di una pachina, potrete osservare un giovane esemplare di Forsythia, che fiorisce alla fine dell’inverno prima di produrre le foglie, tingendosi di giallo. In questo punto si apre un altro bell’affaccio dal quale è possibile ammirare il Castello incorniciato dal verde, l’elegante facciata neogotica e le sue cuspidi. Di fronte appare invece il quarto tassodio del Parco, il più alto e il più robusto; all’inizio dell’inverno la sua chioma è ancora colorata di bronzo e nocciola e ricorda la straordinaria mutazione avvenuta nei mesi autunnali.