15. Il Faggio rosso

La storia del faggio rosso ci permette di raccontare alcune delle scelte compiute dalla Fondazione Cosso nel recupero e nella tutela di questa proprietà. Dopo lunghi anni di abbandono, dal 2007 il Parco è stato sottoposto a un imponente lavoro di studio e di analisi che ha portato a conoscere lo stato di salute dei grandi alberi. Solo gli esemplari non sopravvissuti ai numerosi anni di incuria sono stati abbattuti. Tutti gli alberi malati sono stati contenuti in altezza e curati, operazioni ripetute nel tempo, che accompagnano lentamente i giganti verdi fino alla fine della loro esistenza.

Sugli esemplari sofferenti, vengono ancora oggi eseguiti interventi di sostegno, attraverso integratori naturali somministrati direttamente nel terreno, che li stimolano a combattere le malattie. È questo il caso del faggio rosso, ormai anziano e attaccato da un fungo che lo indebolisce: ogni anno la pianta viene “nutrita” con concimi e integratori totalmente naturali, per sostenerla e stimolarne la ripresa.

La stessa filosofia caratterizza la cura dell’intero Parco, totalmente estranea a rimedi chimici e attenta al rispetto della natura, dei suoi equilibri e dei suoi tempi di sviluppo.

Accanto a ogni esemplare morto, oppure irrimediabilmente malato, la Fondazione Cosso sta inserendo un giovane albero, che crescendo possa prendere il posto dell’antenato, mantenendo nel tempo il disegno originario del giardino.

Nei pressi del faggio rosso, accanto allo svettante pino nero d’Austria e alla farnia contorta, è conservato il ricordo di un meraviglioso esemplare di cedro del Libano, di cui è visibile la ceppaia. È stato per lungo tempo il gigante indiscusso del Parco, purtroppo morto e abbattuto nel 2015, per scongiurarne il pericolo di caduta. La sua ceppaia è stata conservata per permettervi di osservare lo stupefacente disegno degli anelli ancora ben visibili nel tronco e il suo diametro imponente: una testimonianza impagabile della storia del luogo.

Vi invitiamo ora a proseguire la visita, lungo il percorso ad anello, fino alla sofora del Giappone, alternando la passeggiata attraverso il prato, per non perdere la bellezza del paesaggio circostante, a quella che segue il sentiero che si sviluppa accanto al muro di cinta. Morbidi cuscini di vinca tappezzano il sottobosco creando un’atmosfera fiabesca e colorata; giovani esemplari di tasso crescono tutto intorno, mischiati ad agrifogli.

Nel tragitto supererete alcuni dei canali irrigui che corrono nel Parco, un antico sistema idrico, tutt’oggi funzionante e utilizzato per l’approvvigionamento del giardino storico.

Alla fine dell’inverno i canali vengono ripuliti da foglie, detriti e rami depositatisi durante i mesi freddi, per prepararli all’avvento della primavera. L’acqua che scorre diffonde la sua incantevole sonorità nel sottobosco, tra i grandi alberi, e nel cuore del bosco di bambù giganti.

Come nell’antica tradizione contadina del luogo, se si presenta la necessità di irrigare, i canali, che sono alimentati direttamente dal torrente Chisone che scorre nei pressi del Castello, vengono riempiti fino a farli strabordare per permettere all’acqua di raggiungere ogni angolo del Parco.

Prima di attraversare il canale che vi troverete di fronte, in mezzo al prato, in corrispondenza della panchina, sedetevi qualche istante per osservare il panorama. È tutta una poesia di colori e di forme. Provate ad ascoltare gli uccelli dialogare tra loro, nel periodo degli accoppiamenti e della costruzione del nido.